Il Prosecco Rosè. Molto rumore per nulla.

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Il prosecco Rosè è il prodotto di una regolamentazione che ha creato polemiche inutili.

I negazionisti vanno di moda un po’ in tutti i settori. Vuoi che, prima o poi, non sarebbero entrati anche nel mondo vitivinicolo???  E infatti proprio ieri sento un tale in TV  ( probabilmente laureato in tuttologia) dire con malcelata enfasi che il Prosecco rosè non esiste. Solo per il piacere di far sapere ai suoi astanti che lui non lo riconosce. Lui può anche non riconoscerlo, ma al mondo del prosecco poco importa visto che l’evidenza non si può negare.

Infatti  a metà del 2020 è nato il prosecco rosè. Tra le polemiche ovviamente. Se ne parlava, era nell’aria e adesso ,dopo una modifica legislativa che ne varia il disciplinare il prosecco si può vinificare in versione rosato.  Ma l’uva glera è bianca!!! Come faccio allora?  Semplice , forse anche banale. Il  disciplinare permette da adesso  l’aggiunta ,in piccola percentuale, di pinot nero per giungere alla colorazione rosata.

A voler essere pignoli, la presenza di piccolissime percentuali di pinot nero erano già previste in disciplinare, vinificate però in bianco insieme ad altri vitigni a bacca bianca ( anche chardonnay e pinot bianco per esempio).

Quindi la novità è sostanzialmente data dal fatto che il pinot nero a bacca scura viene adesso utilizzato con la buccia.

A voler essere sempre più pignoli, il problema è sollevato da alcune regioni del Nord , dove il fenomeno Prosecco è particolarmente sentito in quanto la denominazione è stata conquistata con lunga lotta. Nel resto d’Italia il sentimento è un po’ meno forte. Il vino rosato e le bollicine rosate stanno prendendo sempre più piede nel mercato (era ora!). Gli spumanti generici di colore rosato sono oramai un buon numero.Per cui succede che , il consumatore medio davanti ad uno scaffale, se non è seguito da persone competenti, comprerà un prosecco rosè senza nemmeno capire la differenza con lo spumante rosè generico: a lui interessa il colore e basta. Sono convinta che ci vorrà un po’ di tempo per educare il consumatore a capire e quindi scegliere.

Detto ciò forse la polemica è stata un po’ esagerata e lascia il tempo che trova. Se ci pensate bene potrebbe esserci una esigenza di mercato in questa decisione. Ma potrebbe esserci una esigenza tecnica più forte. Mi viene da pensare che le quantità di uve pinot nero in quelle zone erano oramai diventate un numero elevato. Bisognava poterle gestire anche in maniera differente dalla ovvia vinificazione in purezza.

Il pinot nero poteva già essere utilizzato in purezza per spumanti rosati generici, quindi farlo rientrare in una DOC tutto sommato non è stato poi così male.

Anzi, a dirla proprio tutta, il “prosecco rosè” esiste ancor prima dell’inserimento in disciplinare del prosecco classico, semplicemente non aveva un riconoscimento perché il pinot nero non è un vitigno autoctono ma internazionale. A questo proposito qualcuno ha sollevato il problema che, al posto del pinot  nero, si poteva prevedere l’uso del Raboso, vitigno autoctono. Ma il Consorzio prosecco ha chiarito che il pinot nero pur essendo internazionale è autoctono per adozione in quanto oramai coltivato dalla stragrande maggioranza dei produttori della zona.

Posso quindi concludere che oggi questa realtà già da tempo esistente è soltanto disciplinata, cioè regolamentata , come è giusto che sia in un mondo dove spesso l’anarchia la fa da padrone.

Andate sul sito e provate Borgo Molino Prosecco rosè . Sarà una bella sorpresa.

Autore: Cecilia Miraglia

Diplomata presso l'Associazione Italiana Sommelier lavoro nel mondo del vino dal 2000, collaboro con enti , scuole e privati sperando di appassionare sempre più persone a questo affascinante mondo.

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